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Ovidio fu un poeta fortunato. Denari, donne e successo arrivarono che era giovane, e scriveva come un treno, con la facilita di chi ama il suo lavoro. E cosi ci volle davvero un attimo per scrivere le avventure galanti delle Eroine e comporre nelle Metamorfosi il perpetuo leggero scorrere delle cose. Intanto a Roma c'era la guerra civile, ma questo non era che un dettaglio in una vita felice. Poi venne il severo Augusto, e cambio tutto. Il Princeps comincio a fare ordine nella pruriginosa societa romana. E Ovidio capi subito che il vento era cambiato: inizio a scrivere i Fasti, un innocuo manuale sulle ricorrenze religiose, rimasto fatalmente interrotto sulla pagina del 24 giugno. Tutto in realta inizia la notte del 23: un sacerdote propizia l'avvento della Dea Fortuna, arriva l'alba, si fa giorno, e comincia la festa di popolo; si scende a frotte al Tevere, poi si mangia, si beve, e, su barchette appositamente inghirlandate, si fa l'amore. Ordinaria amministrazione, insomma. Succede pero che mentre Ovidio scrive del 24 giugno qualcosa va storto: arriva improvviso l'ordine di relegatio, cioe un invito perentorio a lasciare Roma, destinazione Mar Nero, ai confini dell'Impero. Ovidio ci rimase lamentosamente per dieci anni, revisionando i Fasti e aggiungendo qua e la qualche verso sguaiato. Ne leggiamo oggi, per la prima volta raccolti in una monografia, gli ultimi nove carmi, dedicati alla Dea dei capovolgimenti di destini, con la traduzione in italiano di Antonello Anappo. Ovidio non torno mai piu a Roma: la Fortuna, purtroppo, gli aveva voltato le spalle.
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